Sa Finance al fianco della Filiera dell’Ottone: un modello di eccellenza e sostenibilità
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ApprofondisciIncertezza geopolitica, allerta climatica ed energetica: è un nuovo stato di instabilità persistente quello delineato dalla Mappa dei Rischi 2023 di SACE. Un mondo post-pandemico sempre più fluido e incerto, in cui i rischi politici si fanno più intensi e i rischi di credito restano stabili ma non recuperano il terreno perso dopo tre anni di shock avversi.
Negli ultimi tre anni il contesto mondiale è stato caratterizzato da tre shock di portata straordinaria: emergenza pandemica, invasione russa dell’Ucraina con conseguente crisi energetica e alimentare, ritorno dell’inflazione sostenuta e fine delle politiche monetarie ultra-espansive. Nel 2023 le prospettive economiche mondiali sono relativamente deboli, specie per il possibile materializzarsi degli effetti di condizioni finanziarie globali meno favorevoli, in un quadro di politiche fiscali generalmente caratterizzate da minori spazi di manovra. Tuttavia, un allentamento delle pressioni inflazionistiche, maggiore a quello atteso, sta aumentando la probabilità di uno scenario migliorativo.
La Mappa dei Rischi 2023 mostra una rischiosità globale media relativamente inalterata rispetto alla precedente, in cui si sottolineava la mancata (auspicata) inversione di tendenza dopo gli incrementi post-pandemia del 2021. Ne deriva una “fragile stabilità”, che riflette un’accezione positiva in quanto le principali economie sono riuscite a mantenere un livello di rischio pressoché immutato nonostante le circostanze geopolitiche avverse. Di contro, il mancato miglioramento può essere anche letto come un’“occasione persa” per quei Paesi che – malgrado gli ampi supporti finanziari pubblici o delle multilaterali – non sono riusciti rafforzare i propri fondamentali macroeconomici, lasciando presagire una maggiore esposizione ai rischi del credito, per controparti sia pubbliche che private.
Il principale fattore discriminante dei cambiamenti nei profili di rischio, sebbene non l’unico, è legato ai prezzi delle commodity energetiche e alimentari, impattati dal conflitto tra Russia e Ucraina (che vede la prima – principalmente per effetto delle sanzioni internazionali – raggiungere il livello massimo di rischiosità). Ne segue un peggioramento del rischio di credito delle economie importatrici, spesso con debolezze strutturali e contesti operativi fragili (come Tunisia, Bangladesh, Kenya), un’influenza positiva sui Paesi esportatori (ad esempio, Paesi del Golfo, Malesia, Brasile). Nel contempo rimangono stabili quelle geografie con una situazione economico-finanziaria consolidata e risorse adeguate per gestire eventuali peggioramenti dello scenario globale (tra cui India, Vietnam, Messico e diversi Paesi avanzati).
Nell’ambito di un contesto globale fortemente polarizzato da elementi di natura geopolitica, l’aggiornamento degli indicatori dei rischi politici fotografa in media un peggioramento rispetto allo scorso anno, in particolare nella componente di violenza politica. Si osserva un deterioramento per i Paesi direttamente coinvolti nel conflitto e nelle aree limitrofe dell’Est Europa e CSI, ma anche in altre aree come riflesso dell’inasprimento delle tensioni sociali dovute all’aumento del costo della vita in contesti economici sotto pressione: dal Nord Africa (Tunisia ed Egitto su tutti) all’Asia (con Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh) passando per l’Africa Subsahariana (tra cui Nigeria e Sudafrica), senza tralasciare l’America Latina (Colombia, Brasile e soprattutto Perù). Sottostanti a tali peggioramenti vi sono anche questioni irrisolte da tempo e legate al deterioramento del contesto di benessere sociale, elemento fondamentale di stabilità dei sistemi socioeconomici e garanzia del loro sviluppo sostenibile.
Anche gli eventi naturali estremi legati al cambiamento climatico, divenuti sempre più frequenti, diffusi e repentini, generano impatti fortemente negativi sugli equilibri socioeconomici non solo locali ma anche internazionali, e sono quindi fattori sempre più integrati nelle valutazioni del rischio d’impresa.
La necessità di fare fronte a queste problematiche, in un quadro condizionato dalla rottura delle relazioni energetiche tra Ue e Russia, ha dato ulteriore impulso al processo di transizione energetica, divenuta una priorità imprescindibile su cui investire per rafforzare la capacità di resilienza e costruire vie di crescita sostenibile.
Gli indicatori di transizione energetica mostrano un parziale miglioramento, a conferma dell’irreversibilità di un processo che non solo “tiene” di fronte anche alle più complesse condizioni economiche e geopolitiche su scala globale, ma che anche rappresenta l’unica alternativa al modello energetico attuale. Europa e America Latina confermano la maturità di un processo di transizione, con andamenti particolarmente positivi degli indicatori; miglioramenti anche per Stati Uniti, Cina e India e ritardi per i Paesi esportatori di fossili. In particolare, il miglioramento degli indici di transizione energetica è trainato dall’indicatore delle rinnovabili (soprattutto generazione fotovoltaica ed eolica) che ha visto per la prima lo scorso anno registrare un valore di investimenti superiore a quello in fonti fossili.
(Fonte: SACE)
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