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ApprofondisciPer la prima volta la banca centrale europea rende pubblici i risultati del rapporto SREP: l’analisi.
Lo SREP condotto sul 2019 a cura della Banca centrale europea è stato reso pubblico e definisce, attraverso i parametri definiti dalla “super” banca continentale, lo stato di salute degli istituti di credito.
Il procedimento di valutazione, lo ricordiamo, prevede tre passaggi principali: il requisito minimo di capitale che ogni istituto è tenuto ad accantonare (CET1), la simulazione che fa emergere la portata di quel capitale minimo in funzione dell’operatività dell’istituto in un determinato arco temporale (SREP) e gli ulteriori paramenti che vengono incrociati.
Il momento dello SREP, tuttavia, rappresenta l’elemento più importante in questo quadro di valutazione, in quanto incrocia proprio operatività dell’istituto con capitale minimo accantonato su un terminato periodo di tempo.
In funzione di questo parametro BCE avanza delle richieste di capitale aggiuntivo per rafforzare il capitale minimo accantonato. Minore è la richiesta di capitale, maggiore è la solidità dell’istituto. In termini globali (analisi generale del CET1) la BCE ha mantenuto stabili (rispetto al 2018) al 10.6% i requisiti e gli orientamenti complessivi. Un dato che di per sé è già positivo sul quadro generale europeo.
In questo quadro valutativo, le banche italiane emergono in una sostanziale buona salute. In coda alla significativa “classifica” pubblicata dalla BCE ci sono infatti pochi istituti per lo più della Grecia e di Malta.
I principali istituti di credito italiani, invece, figurano tutti nella parte medio alta della classifica, con una richiesta massima di integrazione del capitale del 3%. I grandi gruppi (Credem, Intesa San Paolo, Unicredit, Mediobanca, Bper, UBI, Banco Bpm e CCb) non superano infatti la soglia del 2.25% di richiesta di capitale aggiuntivo (tutti questi istituti sono compresi fra l’1% e il 2.25%).
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