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Industria: a rischio un terzo del PIL senza le materie prime dall’estero

L’esposizione verso la Russia è di 107 miliardi di euro, sui 564 miliardi complessivi. Lo scoppio della guerra ha evidenziato e aggravato il problema europeo e italiano della dipendenza dall’estero.

Lancia l’allarme il report di The European House-Ambrosetti. La produzione industriale italiana dipende per 564 miliardi di euro (pari a circa un terzo del pil 2021) dall’importazione di materie prime critiche extra-Ue, di cui 107 miliardi dalla Russia. È quanto emerge dallo studio di The European House-Ambrosetti, commissionato da Erion, il più grande sistema multi-consortile italiano di responsabilità del produttore per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici.

Il numero delle materie prime critiche riconosciute dalla Commissione europea cresce costantemente (14 nel 2011 vs 30 nel 2020) sia perché diventano più difficili da trovare per effetto dei cambiamenti climatici, sia perché le nuove priorità digital e green a livello globale stimolano la domanda di certe materie prime (come rame, nichel, manganese, cobalto) più della loro possibile offerta.

Concentrandosi sull’Italia, lo studio di Ambrosetti ha evidenziato che per l’industria aerospaziale sono indispensabili 26 materie prime su 30 (87%) mentre 24 per quella ad alta intensità (80%). Il numero scende a quota 21 per l’elettronica e l’automotive (70%) e fino a 10 per le energie rinnovabili (60%).

Considerando invece tutti i principali settori industriali, le terre rare sono sempre presenti e contribuiscono alla generazione di quasi 50 miliardi di euro della produzione industriale italiana.

I fattori di rischio relativi alla dipendenza dall’estero potrebbero essere ridimensionati con un efficiente riciclo dei rifiuti tecnologici. Secondo il report, se l’Italia raggiungesse il tasso di riciclo dei best performer europei (70-75%), quasi raddoppiando l’attuale 39,4%, potrebbe recuperare 7,6 mila tonnellate di materie prime critiche, per avere un’idea, l’11% di quelle importate dalla Cina nel 2021. Si risparmierebbero così quasi 14 milioni di euro destinati altrimenti alle importazioni. Ne deriverebbero per giunta benefici notevoli per l’ambiente, con la riduzione di quasi un milione di tonnellate di Co2, quantificabili in ricadute positive per la comunità in 208 milioni di euro.

(Fonte: Milano finanza)

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