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Delocalizzazione delle aziende: le novità del decreto Asset

Il provvedimento interviene sulle normative del 2018, che già contenevano misure per contrastare la delocalizzazione e proteggere l’occupazione.

Questo decreto interviene sulle normative esistenti del 2018, che già contenevano misure per contrastare la delocalizzazione e proteggere l’occupazione. Le crescenti tensioni geopolitiche, l’ineguale diffusione della globalizzazione, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la diffusione della pandemia da Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno messo in luce le vulnerabilità delle economie, con un impatto diretto sulle imprese. Questi eventi sono stati accompagnati da un aumento significativo di disastri naturali e attacchi informatici.

Di conseguenza, sta emergendo un fenomeno di “ridislocazione” delle catene di fornitura, che non si sposta verso zone geograficamente più vicine, ma piuttosto verso aree altrettanto remote (noto come “further offshoring”), ma che riescono a garantire costi di produzione inferiori rispetto alle posizioni precedenti. L’intensità con cui questo fenomeno si manifesterà nei prossimi anni sarà influenzata anche dall’incremento graduale dei costi di produzione.

Il governo sta ora affrontando questa sfida attraverso il rafforzamento delle misure contro la delocalizzazione, estendendo il periodo obbligatorio in cui le grandi imprese devono mantenere le loro attività in Italia. L’articolo 8 del decreto Asset sancisce questo rafforzamento, estendendo il periodo da cinque a dieci anni dopo la conclusione dell’iniziativa agevolata. Qualora l’impresa decidesse di delocalizzare le sue attività all’esterno dell’UE e dello SEE durante questo periodo, perderà i benefici precedentemente concessi e sarà soggetta a sanzioni significative.

La principale motivazione alla base delle iniziali delocalizzazioni delle imprese italiane è stata la ricerca di una riduzione dei costi del lavoro. Tuttavia, sono stati identificati ulteriori motivi per le delocalizzazioni, tra cui la disponibilità di risorse e partner competenti all’estero, così come una crescente domanda da parte dei clienti rispetto alle aziende che hanno scelto altre strategie. Queste ultime includono quelle imprese che non hanno mai delocalizzato e quelle che hanno riportato in Italia le attività produttive precedentemente localizzate all’estero.

L’articolo 8 del decreto Asset rappresenta un’azione da parte del governo volta a modificare l’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 87/2018, il quale stabilisce dei limiti alla delocalizzazione per le imprese che beneficiano di aiuti statali. È importante ricordare che l’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 87/2018 prevede che, fatto salvo il rispetto dei vincoli imposti dai trattati internazionali, le imprese operanti sul territorio nazionale che hanno ricevuto un aiuto di Stato per effettuare investimenti produttivi decadono da tale beneficio nel caso in cui l’attività economica interessata o una sua parte venga successivamente delocalizzata in Stati che non fanno parte dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo.

I motivi chiave che hanno guidato le imprese a localizzare all’estero alcune fasi della loro produzione possono essere riassunti in tre principali driver dell’offshoring:

  1. Ricerca di input produttivi a costi inferiori (resource seeking): Le imprese cercano risorse e materie prime a costi più bassi all’estero, il che può consentire di ridurre i costi complessivi di produzione. Questa è una delle principali motivazioni alla base delle delocalizzazioni;
  2. Incremento del volume delle vendite sul mercato estero (market seeking): Le imprese mirano a espandere le proprie attività e aumentare le vendite entrando in nuovi mercati internazionali. Questo può richiedere la presenza fisica all’estero per essere più vicini ai clienti e ai mercati di riferimento;
  3. Appropriazione dei vantaggi comparati attraverso la diversificazione geografica delle fasi produttive (efficiency seeking): Le imprese cercano di sfruttare i vantaggi comparati tra diverse regioni del mondo, spostando alcune fasi della produzione in luoghi dove è più efficiente farlo. Ciò può comportare una maggiore specializzazione e riduzione dei costi.

È stato proprio l’auspicio di ottenere questi vantaggi a spingere molte imprese italiane a delocalizzare, soprattutto quando potevano beneficiare di agevolazioni fiscali e finanziarie attraverso bandi regionali e statali.

Ora, al fine di limitare questo fenomeno, il decreto Asset interviene aumentando il periodo obbligatorio di permanenza in Italia per le grandi imprese da cinque a dieci anni dopo la conclusione di programmi agevolati. Durante questo periodo, se l’attività interessata dovesse essere delocalizzata al di fuori dell’Unione Europea (UE) e dello Spazio Economico Europeo (SEE), ciò comporterebbe la perdita dei benefici precedentemente ottenuti e l’applicazione di sanzioni significative, che possono variare da due a quattro volte l’ammontare dell’aiuto precedentemente fruito.

Il concetto di backshoring rappresenta una potente leva per migliorare la competitività dei nostri territori e delle imprese. In altre parole, dovrebbe essere incentivato non attraverso politiche specifiche, ma piuttosto attraverso politiche mirate a rendere il territorio attraente e a promuovere la competitività delle imprese. Questo può essere realizzato sfruttando sinergie con le politiche già esistenti, come quelle incentrate sul Green Deal, la digitalizzazione e l’aggiornamento delle competenze.

Nel contesto del Green Deal, la riduzione delle catene di approvvigionamento e la loro regionalizzazione possono contribuire a una maggiore sostenibilità. Questo perché permettono una riduzione delle emissioni di carbonio e un maggiore controllo etico e sociale sulle produzioni. Ciò può offrire opportunità significative alle imprese italiane, sia aumentando la loro quota di mercato all’interno dell’Unione Europea, sia adottando paradigmi di produzione alternativi.

La prima opportunità riguarda la possibilità per le imprese italiane di sostituire i fornitori al di fuori dell’UE con fornitori all’interno dei paesi membri, contribuendo così a riconfigurare le catene di approvvigionamento in modo più regionale (nearshoring di fornitura per le imprese dei partner europei).

La seconda opportunità consente l’adozione di modelli di produzione alternativi a quelli lineari, come l’economia circolare. Questo approccio risulta particolarmente attuabile in un contesto nazionale o regionale come quello europeo, in cui è possibile armonizzare le normative e ridurre le barriere politiche ed economiche, con conseguente riduzione dei costi di transazione.

La digitalizzazione gioca un ruolo fondamentale nella competitività delle imprese. L’adozione di concetti come l’Industria 4.0 consente di rendere i processi produttivi più efficienti, migliorare la qualità delle produzioni, ridurre i costi e stimolare la domanda di lavoro qualificato. Questo facilita sia il rientro delle imprese che hanno precedentemente delocalizzato la produzione all’estero, sia la creazione di fornitori locali in grado di competere con quelli stranieri.

Attualmente, il governo si concentra sulla sfida di contrastare la delocalizzazione, estendendo il periodo in cui le imprese beneficiano di agevolazioni pubbliche e sono obbligate a mantenere le loro operazioni in Italia. Tuttavia, è importante considerare che le politiche di sviluppo delle competenze manifatturiere, digitali e manageriali sono essenziali per completare il quadro. Spesso, la riorganizzazione delle attività produttive verso altri paesi può essere più vantaggiosa, ma l’adozione di nuovi modelli di business sostenibili e digitali richiede capacità gestionali e produttive che potrebbero non essere immediatamente disponibili in Italia.

In sintesi, la prospettiva di un backshoring generalizzato delle catene di fornitura potrebbe non essere né concreta né auspicabile, ma il rafforzamento delle politiche di competitività e sostenibilità può aiutare a promuovere un ambiente favorevole alle imprese e alla creazione di valore all’interno del mercato domestico.

(fonte: ipsoa)

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