Verso la legge di bilancio
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ApprofondisciLa riluttanza delle imprese italiane a investire, in questa fase di incertezza economica e geopolitica, unita ai costi elevati del denaro, è confermata dai dati recenti del Barometro Crif sulle richieste di credito da parte delle aziende. Questi dati dipingono un quadro di stabilità dopo le flessioni registrate nel 2022 (-5,7%) e nel primo semestre di quest’anno (-4,2%). Nel terzo trimestre, l’andamento è rimasto pressoché invariato rispetto allo stesso periodo del 2022 (+0,1%), e l’importo medio delle richieste di credito è rimasto stabile a 125.404 euro (-0,5% rispetto all’anno precedente).
Le imprese preferiscono utilizzare le proprie riserve per coprire le spese correnti e rimandare i piani di investimento a lungo termine.
Ciò che rende particolarmente interessante questa situazione è l’andamento stabile della domanda di credito, se confrontato con l’aumento del rischio di insolvenza delle imprese. Dopo aver toccato il minimo storico alla fine del 2021 e aver mantenuto una relativa stabilità, alla fine del 2022 il rischio di insolvenza ha iniziato a crescere, segnando la prima inversione di tendenza dal 2013. Nel dicembre dell’anno scorso, il tasso di default per le imprese italiane è salito al 2,4%, rispetto all’1,6% dell’anno precedente. Questo aumento è proseguito anche nel corso di quest’anno, raggiungendo il 2,5% nel primo semestre. Secondo Crif, considerando il contesto macroeconomico attuale, si prevede che verso la fine del 2023 i tassi di default delle imprese italiane raggiungeranno un livello intorno al 3%.
Il livello di rischio di insolvenza delle imprese italiane, sebbene inferiore alle medie europee e ben al di sotto dei picchi raggiunti nel 2013 (7%) e della soglia di allarme (intorno al 6%), inizia a destare preoccupazione a causa del suo rapido aumento. Questo incremento rappresenta una crescita del 25% in un solo anno per l’intero sistema delle imprese. Alcuni settori, come il leisure (turismo e tempo libero), si confrontano con un rischio ancora più elevato, con un tasso di default che si avvicina al 5%.
Le ragioni di questa situazione sono varie. L’inflazione elevata, sebbene sembri finalmente rallentare, insieme ai tassi di interesse anch’essi in crescita a causa dei dieci aumenti consecutivi decisi dalla BCE, contribuiscono all’aumento del rischio di insolvenza. Tutto ciò avviene in un contesto di modesta crescita dell’economia reale, che è tornata ai livelli precedenti alla pandemia.
I settori che avevano fatto un maggiore uso della leva finanziaria durante la pandemia e che oggi stanno affrontando le conseguenze di tali decisioni sono quelli più colpiti, tra cui il leisure-tempo libero, il settore alimentare, i trasporti, la logistica e il commercio al dettaglio. Al contrario, la farmaceutica conferma tassi minimi attorno all’1%, mentre le costruzioni beneficiano di vantaggi fiscali e sostegni degli ultimi anni.
Tornando all’argomento delle richieste di credito, il Barometro Crif riporta che nel terzo trimestre le società di capitali hanno registrato una flessione dello 0,2%, mentre le imprese individuali hanno registrato un aumento dello 0,6%. Dopo due trimestri consecutivi di crescita decisa dell’importo medio richiesto, si osserva un rallentamento per le imprese individuali (-4,7%) e una variazione minima per le società di capitali (+0,1%). Riguardo ai settori, i servizi rimangono in prima posizione, rappresentando oltre un quarto delle richieste, seguiti dal commercio, dalle costruzioni e dal settore manifatturiero.
Prevedere la situazione per il 2024 risulta complicato, considerando le sfide presentate dal contesto economico-finanziario e politico.
Per alcuni settori, potremmo avvicinarci alla soglia del 6%, che rappresenta un livello preoccupante. Tutto dipenderà in gran parte dalla capacità delle banche di evitare una stretta creditizia.
L’evoluzione futura della situazione richiederà un monitoraggio attento e una gestione prudente delle politiche finanziarie per affrontare le sfide attuali.
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