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Benefici per le imprese e costi per lo Stato: l’analisi dell’ISTAT mette a nudo i crediti d’imposta

L’Istituto ha reso noti i risultati di un’interessante indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale, con focus sui crediti d’imposta.

Negli ultimi anni, i crediti d’imposta sono diventati uno dei principali strumenti che lo Stato utilizza per incentivare sia le imprese che i consumatori. Questi incentivi spaziano dai crediti per l’acquisto di beni strumentali previsti dal piano Transizione 4.0 al Superbonus nell’ambito edilizio, fino ai crediti per far fronte all’aumento delle bollette o per la sanificazione durante la pandemia. Tuttavia, non è sempre chiaro quale sia l’effetto che questi incentivi hanno sulla domanda e quanto incide il loro costo sul bilancio dello Stato. Le risposte a questi interrogativi sono state fornite da Giovanni Savio, Direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale dell’Istat, durante un’audizione tenutasi il 15 marzo davanti alla 6ª Commissione Finanze e Tesoro del Senato.

Sono stati presi in esame due aspetti fondamentali:

  • gli effetti misurati di alcune agevolazioni a favore delle imprese, con particolare riferimento al periodo 2015-2019;
  • l’impatto dei crediti d’imposta sulla finanza pubblica.

Per quanto concerne l’impatto delle principali agevolazioni sulla competitività delle imprese, l’Istat ha condotto un’analisi sulle società di capitali nel quinquennio 2015-2019, in relazione alle seguenti misure agevolative:

  • super ammortamento, introdotto dalla L. 208/2015 per investimenti effettuati dal 15 ottobre 2015;
  • iperammortamento, introdotto dalla L. 232/2016 per investimenti effettuati dall’1 gennaio 2017;
  • credito d’imposta R&S, secondo la disciplina dell’articolo 3, D.L. 145/2013 e ss.mm.ii. in vigore nei periodi d’imposta 2015-2019;
  • regime Patent box, secondo la disciplina originale prevista dall’articolo 1, commi 37-45, L. 190/2014;
  • Aiuto alla Crescita Economica (c.d. ACE).

Le indagini condotte si concentrano principalmente sulla distribuzione delle misure agevolative, analizzando la quota di soggetti beneficiari e la loro composizione in base al settore economico, alla dimensione e al livello di intensità tecnologica.

Super e iperammortamento.

Per quanto riguarda il super ammortamento, operativo nel quinquennio 2015-2019, l’incidenza di imprese beneficiarie risulta triplicata, partendo da un 10% del 2015 fino ad un 31,5% del 2019.

La quota di imprese che hanno beneficiato dell’iperammortamento è stata naturalmente inferiore, in quanto l’agevolazione richiedeva investimenti in beni strumentali ad alto contenuto tecnologico. Nel 2017, solo il 2,1% delle imprese ha usufruito dell’agevolazione, ma nel 2019 la percentuale è aumentata di più del doppio, arrivando al 4,7%. Questa agevolazione si è diffusa principalmente tra le imprese dell’industria manifatturiera, in particolare tra quelle a medio-bassa intensità tecnologica.

Complessivamente, nel periodo 2016-2019:

gli investimenti che hanno beneficiato della maggiorazione degli ammortamenti in beni strumentali hanno rappresentato il 34% degli investimenti lordi in beni strumentali materiali mobili nelle società di capitali;

la percentuale di investimenti agevolati sul totale degli investimenti lordi è prevalente, con una quota pari circa al 39%, nelle imprese manifatturiere e nelle imprese di servizi a bassa intensità tecnologica.

Alcune analisi empiriche realizzate per l’edizione 2022 del “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” dell’Istat hanno evidenziato l’impatto virtuoso delle agevolazioni agli investimenti in beni strumentali in relazione:

  • alla crescita della Produttività Totale dei Fattori (PTF);
  • alla capacità delle imprese di reagire alla crisi durante l’emergenza sanitaria Covid-19, misurata in termini di dinamismo, resilienza, solidità.

L’analisi condotta ha dimostrato che le agevolazioni destinate agli investimenti in beni strumentali hanno avuto un impatto positivo sulla produttività totale dei fattori dell’industria manifatturiera. In particolare, si è osservato che le imprese che si trovavano più lontane dalla “frontiera tecnologica” hanno beneficiato di una crescita della produttività totale dei fattori più elevata, con un aumento annuale della PTF dell’0,64%. Al contrario, per le imprese vicine alla “frontiera tecnologica” si è stimato un aumento dell’0,15% della PTF.

Credito d’imposta Ricerca e Sviluppo.

Secondo l’Istat “la letteratura ha evidenziato come per massimizzare gli effetti dei programmi di sostegno alla R&S mediante il canale fiscale, sia necessario comunque un coordinamento di tutte le politiche pubbliche per la R&S, nonché delle politiche economiche e industriali, dell’istruzione”.

Questo implica che per raggiungere l’obiettivo di stimolare l’innovazione e la competitività delle imprese italiane, incrementando gli investimenti in ricerca e sviluppo, è necessario agire su una serie di fattori. A titolo esemplificativo, si possono considerare i seguenti:

  • l’istruzione e il rafforzamento delle competenze per creare manodopera qualificata;
  • l’accesso a fonti esterne di finanziamento;
  • le infrastrutture pubbliche di ricerca e la loro interazione col mondo imprenditoriale.

Sempre secondo l’Istat: “Il credito d’imposta potrebbe favorire le imprese che avrebbero comunque investito in R&S e non dà garanzie circa il fatto che le attività svolte siano effettivamente attività di R&S; inoltre, esso risulta in generale meno efficace nei confronti delle imprese giovani e piccole – le quali hanno tendenzialmente bilanci in passivo – ed è infine poco adatto a sostenere grandi programmi di investimento ad alta complessità e incertezza”.

In relazione ai dati delle società di capitali analizzati sul periodo d’imposta 2019, i beneficiari del credito d’imposta R&S rappresentavano il 2,5% delle imprese che hanno trasmesso la dichiarazione Unico SC.

La distribuzione del credito d’imposta R&S dell’anno 2019 per dimensione delle imprese (numero di addetti) rivela una netta concentrazione della misura tra le Pmi:

  • oltre il 50% del credito risulta maturato dalle imprese che contano tra i 20 e i 250 addetti;
  • il 30,6% del credito è stato dichiarato dalle imprese che contano da 1 a 20 addetti.

Per quanto riguarda la distribuzione per settore economico, nel 2019 il credito di imposta R&S ha interessato soprattutto:

  • le imprese dell’industria estrattive e manifatturiera, con una quota pari al 51%;
  • le imprese di altri servizi, con una quota pari al 34,1%.

Per quanto riguarda la distribuzione per intensità tecnologica – conoscenza, nel 2019 il credito di imposta R&S ha coinvolto soprattutto:

  • le imprese manifatturiere che appartengono alla classe bassa e medio-bassa, col 27,2%;
  • le imprese di servizi a bassa intensità di conoscenza, col 19%;
  • le imprese di servizi ad alta intensità di conoscenza, col 17,6%.

Nel quinquennio 2015-2019 il credito d’imposta alla R&S ha contribuito notevolmente alla spesa per R&S, coprendo circa il 40% della spesa per R&S c.d. intra-muros a decorrere dal 2017.

Inoltre, anche i vantaggi derivanti dal precedente regime di detassazione agevolata dei proventi derivanti dallo sfruttamento dei beni immateriali, noto come Patent Box, sono cresciuti costantemente. Tale regime ha coperto una percentuale di spesa per R&S effettuata all’interno dell’azienda, nota come “intra-muros”, che è passata dal 4% nel 2015 al 26% nel 2019.

I benefici dell’ACE sulla spesa di R&S intra-muros risultano invece decrementati, con una riduzione dal 7% del 2016 al 2% del 2017, in relazione al depotenziamento della misura.

I crediti d’imposta “pagabili” e il loro impatto sul deficit pubblico.

Nell’ambito dell’analisi contabile della finanza pubblica dei crediti d’imposta, l’indagine condotta dall’Istat analizza separatamente le misure a favore delle imprese e quelle a favore delle famiglie. In particolare, i crediti d’imposta denominati “pagabili” assumono un particolare rilievo in termini di impatto sull’andamento dell’indebitamento netto delle Pubbliche Amministrazioni nel tempo.

Un credito d’imposta viene definito “pagabile” se esiste una ragionevole certezza che il credito sarà fruito integralmente, anche se supera la capienza del debito fiscale dell’imposta lorda sui redditi del beneficiario. Le caratteristiche che contribuiscono alla definizione di un credito “pagabile” sono legate alle modalità di fruizione che aumentano la probabilità di un utilizzo integrale, come ad esempio la possibilità di cedere il credito a terzi, richiedere il rimborso, scontarlo in fattura o utilizzarlo in un momento successivo nel tempo.

In base al Sistema Europeo dei Conti 2010 (SEC2010) un credito “pagabile” deve essere rilevato nei conti delle Amministrazioni Pubbliche come spesa pubblica, per un ammontare pari all’intero importo maturato e nell’anno di sostenimento della spesa agevolata.

Una misura agevolativa classificata come “pagabile” comporta, dunque, un impatto sull’indebitamento delle Amministrazioni Pubbliche (deficit) concentrato nell’anno di maturazione.

Al contrario, un credito d’imposta definito come “non pagabile” viene riconosciuto solamente entro i limiti del debito fiscale del soggetto beneficiario in un determinato anno, e viene perso se supera l’importo dell’imposta dovuta. Questo accade per la maggior parte delle detrazioni fiscali riconosciute in dichiarazione dei redditi.

In base al SEC2010 un credito “non pagabile” deve essere registrato nei conti delle Amministrazioni Pubbliche come una riduzione del gettito fiscale, distribuita secondo l’effettiva fruizione dell’agevolazione.

Ecco allora che la diversa classificazione dei crediti d’imposta (pagabile versus non pagabile) impatta sull’andamento temporale dell’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche, con un maggiore deficit nell’anno di maturazione dell’agevolazione e minori deficit negli anni successivi.

L’aumento dei crediti pagabili nel triennio 2020-2022.

Alla luce di quanto detto, va sottolineato che la spesa per i crediti d’imposta “pagabili” riconosciuti a favore delle imprese è cresciuta in modo quasi esponenziale nel triennio 2020-2022, come evidenziato dai dati dell’Istat. Nel 2022, la spesa totale è stata di oltre 33 miliardi di euro, rispetto ai 18,8 miliardi di euro del 2021.

Molto interessante è l’analisi della composizione della spesa pubblica per i crediti d’imposta rivolti alle imprese nel triennio 2020-2022:

  • l’anno 2020 è stato caratterizzato dalla netta prevalenza del credito d’imposta R&S, con il 33,4% della spesa e a seguire dei crediti Covid-19, con un 20% della spesa;
  • nell’anno 2021 è prevalso il credito d’imposta Transizione 4.0 col 24% di spesa e il credito DTA (trasformazione delle imposte anticipate, DTA sta per Deferrer Tax Asset) col 22,3%;
  • nell’anno 2022 oltre il 43% della spesa è stata destinata ai crediti d’imposta energetici, mentre quasi il 30% è stato diretto alla promozione degli investimenti Transizione 4.0, con un significativo ridimensionamento del credito R&S, del credito DTA, delle misure Covid-19 e del credito investimenti nel Mezzogiorno.

Sul fronte dei crediti d’imposta “pagabili” rivolti alle famiglie si è registrata una crescita notevole nel triennio 2020-2022, dovuta prevalentemente all’incidenza, dal 2021, del Superbonus e del Bonus facciate, che risultano essere le uniche agevolazioni edilizie attualmente inquadrate fra i crediti “pagabili”.

Come precisato dall’Istat: “Alla luce del nuovo quadro interpretativo del MGDD 2022, e a seguito dell’esito degli approfondimenti metodologici condotti congiuntamente da Istat e Eurostat, è mutato il trattamento contabile del “Superbonus 110%” e del cosiddetto “Bonus facciate” a partire dall’anno di stima 2020 […] Ciò ha comportato un considerevole impatto sull’indebitamento netto (deficit) delle Amministrazioni Pubbliche, in ragione del fatto che nella versione precedente dei Conti, il Superbonus e il bonus facciate gravavano sulle finanze pubbliche per la sola quota utilizzata nell’anno (in detrazione o compensazione fiscale)”.

Analizzando la composizione della spesa per i crediti d’imposta “pagabili” maturati in favore delle famiglie nel triennio 2020-2022 emerge quanto segue:

  • nel 2020, la componente più rilevante, col 77,8% della spesa, era rappresentata dal cosiddetto “bonus IRPEF”;
  • a partire dal 2021, è cresciuta in modo rilevante l’incidenza del Superbonus e del Bonus facciate, col 70,2% della spesa;
  • nel 2022 Superbonus e Bonus facciate hanno raggiunto quasi l’88,7%, su un totale di crediti destinati alle famiglie di circa 57 miliardi di euro, mentre nello stesso anno il “bonus IRPEF” è stato ridimensionato al 9,9% per effetto della ridefinizione del sistema delle detrazioni.

Il decreto-legge 11/2023 che prevede il blocco delle cessioni e dello sconto in fattura potrebbe avere un impatto significativo sulla modalità di fruizione del Superbonus e sull’effetto della misura sul deficit pubblico. L’implementazione della misura renderebbe di fatto impraticabile la cessione o lo sconto in fattura, con la conseguenza di perdere l’agevolazione in caso di incapienza del beneficiario.

Questo potrebbe comportare un cambiamento di classificazione del Superbonus e del Bonus facciate fra i crediti d’imposta “non pagabili” a partire dal 2023, con riferimento alle spese sostenute a valere delle nuove disposizioni normative, a livello di profili contabili di finanza pubblica.

(fonte: Innovation Post)

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