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Transizione 5.0: in attesa del decreto attuativo, ci sono già dei punti da chiarire

Parte di queste incertezze sarà dissipata con il provvedimento attuativo, atteso entro fine marzo. Tuttavia, alcune perplessità sono legate direttamente alle caratteristiche della normativa stessa.


Dopo un’attesa prolungata, il Governo ha finalmente lanciato il tanto atteso piano Transizione 5.0, incluso nel decreto che aggiorna il PNRR e incorpora le risorse provenienti dal fondo RePowerEU. Con 21 commi, il provvedimento si presenta dettagliato e ben strutturato. Tuttavia, sorgono già diverse incertezze riguardo al funzionamento degli incentivi.

Partiamo dall’orizzonte temporale: il Piano Transizione 5.0 si concentra sugli investimenti effettuati nel biennio 2024-2025, con risorse equamente suddivise per entrambi gli anni. Tuttavia, per rendere pienamente operativo questo strumento, sarà necessario attendere l’emanazione del decreto ministeriale che stabilisce alcuni aspetti cruciali. Tale decreto dovrà essere pubblicato entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, ovvero entro fine marzo.

Per coloro che devono prendere decisioni di investimento, restano solo 9 mesi nel corso del 2024. Per quanto riguarda il 2025, la situazione è inversa: si partirà con il pieno delle risorse per la seconda annualità a gennaio. Tuttavia, sorge qualche dubbio sulla piena operatività della misura fino alla fine dell’anno. Il decreto legge impone infatti l’obbligo di iniziare a usufruire dell’incentivo entro il 31 dicembre 2025 (con la possibilità di usufruirne in ulteriori 5 quote annuali di pari importo in caso di eccedenza).

Inoltre, l’azienda potrà iniziare a fruire dell’incentivo solo dopo aver ricevuto il decreto di concessione, il quale sarà emesso dopo aver ricevuto tutta la documentazione richiesta dal Ministero. In sostanza, l’azienda dovrà:

  1. Elaborare il progetto di investimento
  2. Ottenere la certificazione ex ante
  3. Effettuare la comunicazione ex ante
  4. Avviare l’investimento
  5. Completare l’investimento
  6. Mettere in funzione le macchine
  7. Interconnettere il bene
  8. Ottenere la certificazione ex post
  9. Effettuare la comunicazione ex post
  10. Attendere il decreto di concessione
  11. Attendere ulteriori 10 giorni
  12. Eseguire un F24 in compensazione
  13. Ottenere la certificazione del revisore dei conti

Il tutto deve essere completato entro il 31 dicembre 2025. Considerando che alcune di queste fasi richiedono diversi mesi di lavoro – ad esempio, la certificazione ex ante e i tempi di consegna dei macchinari che possono arrivare fino a sei mesi – diventa evidente che il tempo necessario dal primo all’ultimo passo difficilmente sarà inferiore a 3-4 mesi (se tutto procede senza intoppi). In pratica, per completare l’intero processo entro il 31 dicembre 2025, sarà necessario iniziare il processo al più tardi entro l’estate del 2025.

Osservando le risorse disponibili, si ha effettivamente poco più di un anno e mezzo per utilizzare 6,3 miliardi di risorse.

Una seconda criticità riguarda il fatto che l’incentivo non è più completamente automatico come quello previsto per la Transizione 4.0. Dopo aver completato l’intero processo di certificazioni e comunicazioni, sarà necessario attendere l’emissione di un decreto di concessione e poi ulteriori 10 giorni prima di poter usufruire dell’incentivo.

Questo limite è stato introdotto dal Governo per garantire un monitoraggio preciso delle risorse utilizzate, pari a 6,3 miliardi inseriti nel PNRR provenienti dal fondo RePower EU. Tuttavia, per le imprese, questo aggiunge ulteriori complicazioni al processo.
È importante sottolineare che il decreto di concessione non sarà soggetto a valutazioni di merito, ma si limiterà alla verifica della correttezza della procedura e alla disponibilità delle risorse.

E infine, c’è la procedura per usufruire dell’incentivo: la normativa prevede una certificazione ex ante, una comunicazione ex ante, una certificazione ex post e una comunicazione ex post.

I dettagli sui contenuti di questi documenti, nonché le modalità di presentazione e l’elenco dei soggetti autorizzati a rilasciare le certificazioni, saranno chiariti nel decreto ministeriale atteso entro fine marzo.

Attualmente, possiamo ipotizzare che la comunicazione ex ante servirà a “prenotare” l’incentivo, mentre quella ex post avvierà il processo che condurrà alla concessione dell’incentivo. È evidente che le risorse “prenotate” tramite le dichiarazioni ex ante saranno sottratte dalla disponibilità della misura e messe nuovamente a disposizione nel caso in cui la procedura non venga completata o si concluda con importi inferiori. Tuttavia, c’è il rischio concreto che queste risorse prenotate e non utilizzate tornino a essere disponibili troppo tardi per essere sfruttate da altre aziende, considerando i tempi stringenti dell’incentivo.

Passando alla parte più tecnica, emerge una questione relativa alla determinazione delle aliquote. Come noto, il risparmio energetico che viene incentivato può essere riferito sia ai consumi dell’intera struttura produttiva sia a processi specifici.
Tuttavia, sorge un interrogativo se l’investimento riguarda più processi e genera risparmi energetici differenziati. Prendiamo ad esempio il caso di un’azienda che acquista una nuova pressa che porta a un risparmio del 30% nell’energia impiegata nel processo di piegatura della lamiera e un nuovo sistema per la tomografia che invece genera un risparmio del 10% dei consumi nel processo relativo al controllo della qualità. In questo scenario, quale sarà la fascia di riferimento considerata, dato che l’aliquota dovrà essere unica?

Un’altra questione riguarda la determinazione del punto di partenza da utilizzare per individuare il risparmio energetico ottenuto quando l’investimento non è semplicemente sostitutivo.

Quando l’investimento sostituisce un bene precedentemente impiegato per lo stesso scopo, come ad esempio sostituire un vecchio forno con uno nuovo più efficiente, il calcolo del risparmio energetico è relativamente diretto poiché il punto di riferimento su cui basare il miglioramento è chiaro: i consumi registrati dal forno vecchio nell’anno precedente. Tuttavia, anche in questo caso, il calcolo non è esattamente “semplice”, poiché i consumi devono essere “normalizzati” per tenere conto delle circostanze specifiche dell’anno di riferimento o dell’anno attuale.

Ma cosa accade se un’azienda acquista uno o più beni strumentali per introdurre un nuovo processo di produzione di cui non si occupava precedentemente? Ad esempio, supponiamo che un’azienda cartaria acquisti una stazione di lavorazione e confezionamento per produrre non solo bobine di carta, ma anche rotoli di carta tissue o tovaglioli. Per questi nuovi processi, l’azienda non avrà un punto di riferimento interno disponibile. Sarebbe logico, come già previsto per le imprese di nuova costituzione, fare riferimento agli “scenari controfattuali”, ossia a benchmark di mercato. Tuttavia, questa logica non è ancora codificata nella legge. Ci auguriamo che su questo punto il decreto attuativo fornisca delle risposte chiare.

Parliamo ora dei controlli. La certificazione ex post, secondo quanto stabilito nel decreto legge, dovrà attestare semplicemente la corretta realizzazione degli investimenti conformemente a quanto previsto dalla certificazione ex ante, nonché la loro interconnessione al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. Non sarà quindi richiesta una dimostrazione tecnica dell’effettivo risparmio energetico ottenuto.

Tuttavia, poiché sono previsti controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero, è evidente che le aziende dovranno comunque essere in grado di fornire “prove” che consentano di dimostrare, in caso di future verifiche, di aver effettivamente raggiunto il livello di risparmio energetico per cui hanno ricevuto l’incentivo. Questo rappresenta quindi un onere implicito (e un costo) che forse sarebbe stato opportuno formalizzare.

Analogamente, non è chiaro quale sarà il “periodo di osservazione” durante il quale le aziende sono tenute a dimostrare il mantenimento dei requisiti: nel caso del Piano Transizione 5.0, è previsto solamente il divieto di alienazione dei beni per 5 anni. Quindi, sarà questo il periodo di osservazione oppure rimarrà di 3 anni, come stabilito per la Transizione 4.0? Oppure sarà legato al periodo di fruizione del beneficio, che può essere immediato o distribuito su cinque anni?

Ancora, il decreto legge stabilisce che la certificazione ex post debba attestare la corretta realizzazione degli investimenti e l’interconnessione dei beni al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura, in conformità con quanto indicato nella certificazione ex ante. Tuttavia, non è chiaro se sarà necessaria anche la perizia asseverata come previsto dalla normativa del piano Transizione 4.0.

Su questo punto si attende una risposta chiara dal decreto attuativo. La presenza o meno della perizia asseverata potrebbe influenzare significativamente le procedure e gli oneri per le aziende, quindi è essenziale avere una chiara direttiva in merito.

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